Non riesco a dormire e ho sete.
Ho pensato di fare un giro e succhiare un po' di neve. Ho visto il sorbo con le bacche gelate, voglio assaggiarle.
E preso lo slancio, la sentinella, ritta sui lunghi sci sibilanti, si staccò da Zivago, scivolando vieppiù rapidamente sulla neve intatta, lontano, sempre più lontano, oltre i nudi cespugli invernali, esili come capelli radi.
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Seguendo il sentiero il dottore raggiunse il sorbo.
L'albero affondava nella neve: ne emergeva solo con le foglie e le bacche gelate e protendeva verso di lui due rami carichi di neve.
Gli balenarono davanti le lunghe braccia bianche di Lara, tonde, generose, e afferrandosi ai rami, attrasse l'albero a sé. Come con un consapevole movimento di risposta, il sorbo lo ricoprì di neve dalla testa ai piedi.
Senza sapere che cosa dicesse, inconsciamente mormorò:
Ti vedrò, mia stupenda bellezza, mia principessa, mio piccolo sorbo, mia cara, sangue del mio sangue!
Lara |
La notte era limpida, splendeva la luna. Si inoltrò ancora nella taigà, fino alla pìcea, dissotterrò le sue cose e lasciò l'accampamento.
(tratto da Il dottor Zivago di Borìs Pasternàk)